sabato 13 giugno 2015

Follia

scritto da Estrolucente




Guardo il mondo, e mi sembra che non sia cambiato nulla dal tempo in cui veniva raccontato nelle tragedie greche. A parte il fatto che allora veniva raccontato e ora no. I grandi drammaturghi greci disegnavano personaggi che dovevano confrontarsi con il dolore, dovevano superare prove a non finire e conservavano la loro grandezza anche quando, il più delle volte, venivano sconfitti. Direi anzi che la loro grandezza stava proprio nella sofferenza e nel modo in cui la affrontano. C’è però qualcosa che l’eroe tragico non può affrontare, e che è la più tremenda delle punizioni divine: la follia.


Forse nessuno ha saputo rappresentare la follia come hanno saputo fare Eschilo, Sofocle, Euripide. Ed è la stessa follia che attanaglia il nostro mondo, solo che nessuno più la racconta. Non si vede più. Non la percepiamo. A tutti gli effetti è come se avesse smesso di esistere. Giudichiamo normale ciò che invece è folle. In Eschilo incontriamo ad esempio un re della Tracia, Licurgo. Reso pazzo dalla collera degli dei. La follia è rappresentata come un “qualcosa” che altera senza pietà i tratti dell’individuo. Licurgo si oppone al culto di Dioniso, e il dio lo punisce. Veniva usata l’espressione “essere invasi dal Dio”, per descrivere l’effetto del culto sui fedeli. Licurgo, in preda alla follia, si taglia un piede, convinto che sia un tralcio di vite. La vite era sacra, simbolo di Dioniso. Ci sono anche altri casi più drammatici, se possibile. Apollo “invade” lo spirito di Cassandra, nell’Agamennone. In questo caso la violenza del dio si ritorce sulla persona stessa che pronuncia il vaticinio. In Eschilo c’è un bellissimo esempio di allucinazione auditiva: Io viene perseguitata da voci misteriose che la invitano a concedersi a Zeus. Un altro esempio di allucinazione è presente nel finale dell’Elettra, di Sofocle: Oreste vede e sente le cagne feroci che sua madre gli ha sguinzagliato contro, mentre nessun altro ne percepisce la presenza. In Sofocle troviamo un caso di follia sorprendente: Atena, offesa con Aiace che le ha mancato di rispetto, lo rende pazzo. Aiace, usando un linguaggio davvero brutale, massacra un grande numero di capi di bestiame, credendo che siano i capi dei greci. Dopo la furia segue, come da manuale psichiatrico, una fase depressiva: sensi di colpa, vergogna, paura di essere deriso pubblicamente. Convinzione di essere odiato, mania di persecuzione, propositi suicidi. In realtà la follia di Aiace, in Sofocle, può essere letta in chiave politica. Come sempre, in fondo, nell’opera tragica greca come nel mondo contemporaneo. Durante una passeggiata notturna, Aiace vede una fila di carri-prigione, affollati di uomini, di donne e bambini, destinati alla deportazione per ragioni etniche o politiche. In questo modo diventa un testimone scomodo, che bisognava eliminare. Viene allestita quindi una messa in scena con lo scopo di ridicolizzare Aiace, al fine di spingerlo al suicidio. Sorge un problema: che fare col suo cadavere? La questione viene discussa tra gli ufficiali dell’esercito vincitore, e alla fine prevale l’idea di celebrare l’eroe decretandogli un funerale di prima classe. La stessa cosa che succede ad Amleto, la stessa cosa che succede sempre, a ben pensarci: è saggio sempre onorare coloro che sono stati vinti. Pare che quest’uso si sia perduto, ai giorni nostri, però. Sui vinti si sputa, ultimamente. In Euripide si va persino oltre. Troviamo un quadro clinico completo e articolato della sindrome maniaco-depressiva, descritta magistralmente in almeno due tragedie, l’Eracle e l’Oreste. Anche Eracle conosce la sventura. Euripide lo ritrae incredibilmente come un uomo ferito e disperato. Lico, tiranno di Tebe, lo prende in giro, mette in dubbio che Eracle sia mai stato davvero un eroe. Lo dipinge come un vigliacco. E lo fa in sua assenza, naturalmente, mentre è impegnato nell’ultima delle sue mitiche fatiche. Quando Eracle riappare, non capisce cosa stia accadendo, è confuso, occorre ripetergli più volte quello che Lico dice in giro. Non è più il guerriero invincibile del mito, ma un povero essere umano, intristito, disilluso, pieno di sensi di colpa, depresso. Sembra anticipare certi antieroi della letteratura contemporanea. In questo stato mentale che ben presto diventa “follia” (propiziata dagli dei, come sempre), commette una strage. Uccide i suoi stessi figli credendo che siano i figli di Euristeo. Al risveglio a poco a poco riacquista coscienza, si rende conto di quello che ha fatto e vorrebbe uccidersi. Euripide ritrae un Eracle commovente, che si rannicchia accanto ai cadaveri delle sue vittime, tiene il volto coperto dal mantello per non contaminare gente incolpevole. Ma anche per sfuggire al giudizio del mondo. L’amico Teseo accorre da Atene per aiutarlo. Eracle ha impulsi autodistruttivi. Il male non è eliminabile, ci si può difendere da esso solo non guardandolo in faccia e sottraendosi alla comunità. Eracle, il semidio, si apparenta così all’umanità, ai perseguitati. La stagione eroica è finita. In Eracle compaiono tutti gli stadi della follia. Altri esempi: il re Penteo si trova in conflitto con Dioniso, e naturalmente finisce male per lui. Squartato dalla madre e dalle seguaci del dio. L’opera rispecchia crudelmente il delirio che stravolge le menti. Penteo si ritrova a combattere con un avversario che si libera dalle catene che lo imprigionano e cambia aspetto. La follia lo invade, Penteo vede un doppio sole, una doppia città. La realtà si sfalda. La scena in cui Agave entra in Tebe agitando su una picca la testa del figlio da lei scambiato per una belva, è una delle visioni più orripilanti del teatro greco. Ma nulla è cambiato. Se non il fatto che la follia si è fatta più astuta: adesso impedisce persino che venga raccontata. Perché si possa legittimamente pensare di vivere in un mondo perfetto.

2 commenti:

  1. Credo sia peggio di così, oggi la follia viene usata come scusa per giustificare azioni di persone lucidissime, per rassicurarsi che una persona non potrebbe mai fare cose del genere, a meno che non sia straniero, in quel caso è una merda di sicuro.

    Comunque, riguardo al primo paragrafo (conservare la grandezza nella sconfitta) mi hai fatto ricordare che ho un articolo pendente su Heinlein e il suo concetto di arte che parla della Cariatide caduta di Rodin, che viene definita "La vittoria nella sconfitta". ^^

    RispondiElimina
  2. La follia usata come alibi è una follia 2.0 ...

    RispondiElimina

Questo blog non è una democrazia. Gli amministratori si riservano il diritto di rimuovere qualsiasi commento secondo il loro insindacabile giudizio.